Storie da abitare

Casa Pietrosa

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Prologo

Ora è silenzio, interrotto solo dal gorgoglio del ruscello o da qualche veloce saluto tra compaesani. Un tempo qui risuonavano invece i canti delle lavandaie, ascoltavo le voci sul tale e la tal’altra, chiacchiere, pettegolezzi, minima filosofia, pochi sogni e tanta fatica, ma la gioia di rivedersi il giorno dopo ancora assieme, parte di una comunità piccola ma animata. Ero un lavatoio e vi racconterò la mia storia e quella degli edifici alle mie spalle. 

Capitolo I

Quando si partiva per le Americhe

Sorgevo a Robasacco, un villaggio di qualche centinaio di anime lungo la via che un tempo scendeva dal Ceneri al piano. Per un paio di secoli Robasacco fu un Comune indipendente per poi fondersi, nel 2005, con Cadenazzo. Da tempo lo spopolamento si era fatto strada. L’economia rurale, quella basata sul ciclo delle stagioni, sul “pane dei poveri”: le castagne, sul pascolo e gli altri frutti da strappare ai pendii, non bastò più ai nuovi nati, che scelsero di cercar fortuna oltre Gottardo oppure salpando per le Americhe o l’Australia. Verso la fine del Novecento arrivò anche qualcuno a Robasacco, soprattutto confederati che cercarono qui un posto al Sud delle Alpi e con la vista che spaziava sulle Alpi e il Verbano. Costruirono nuove case verso San Leonardo, mentre il centro, dove sorgevo, continuò a spopolarsi. Attorno a me le voci si fecero sempre più rade, era arrivata la lavatrice e io ero diventato solo una tettoia con una vasca. Non ero più uno dei centri della vita sociale.

Capitolo II

La posta e l’osteria

Ah, quante storie potrei raccontare. Perché non c’erano solo le lavandaie da ascoltare. Davanti a me passavano tutti. Ero lì, lungo la strada che taglia in due il paese, a pochi metri dalla Posta e dall’osteria omonima. Tutti transitavano davanti a me: chi andava a bere il primo bicchiere e chi l’ultimo di giornata, e chi sperava in una rivincita a scopa. Si alzavano il cappello. Si salutavano. Commentavano il tempo e leggevano inequivocabili indizi per le previsioni meteo faidaté: il volo di un uccello, una nube sul Tamaro. C’erano le mamme che portavano in seno una lettera da spedire ai figlioli lontani, che in California erano diventati cow-boys. C’era il postino che conosceva tutti e sfrecciava in bicicletta inseguendo una mappa invisibile.

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Capitolo III

La vendita delle castagne

E poi c’erano i furgoni della famiglia Banfi, una florida attività di ortofrutta a Bellinzona. Salivano a Robasacco, sfoderavano la pesa e via. Ecco le donne con le gerle piene di castagne che contrattavano la vendita del raccolto, attorniate da bimbi e ragazzi curiosi di vedere da vicino il furgone e immaginarsi di poterlo guidare un giorno lungo la Cantonale.

Un commercio che rappresentava un rito e un cruciale snodo per l’economia familiare. Un’entrata extra sulla quale contavano molte famiglie, per una spesa imprevista, per un vestito nuovo, una rata o un paio di scarpe.

Capitolo IV

E la stalla era dietro casa

Tutti mi passavano davanti, chi scendeva dal sentiero che seguiva il corso del ruscello, chi per la via principale. In qualche vecchia foto mi si vede ancora, davanti a me i panni stesi ad asciugare, dietro un albero fiorito e una casa.

La casa ricordo che era di proprietà di famiglie che portavano i cognomi Albertoni e Richina, gente di Robasacco, che a fianco alla casa aveva la stalla. E poi ce n’erano altre di stalle, perché avere le “bestie” (le mucche e le capre) erano una risorsa familiare che garantiva sempre una scodella di latte e una fetta di lesso nei giorni di festa.   

Capitolo V

Quando tutto sembra fermo

Ora chi passa dal centro di Robasacco, da via Vecchio Nucleo, nel luogo nel quale sorgevo vede un piccolo slargo per infilarci un’auto. Il ruscello scorre nel sottosuolo, sopra un terreno incolto, un prato che testimonia il vecchio passaggio che passa a fianco a una stalla, sotto quel tetto però son più di quarant’anni che non si vedono animali. La casa rosa alle mie spalle non ha più scritto Osteria della Posta. Resterà tutto così, sospeso tra un passato che non c’è più e un futuro che sembra non voler manifestarsi? Probabilmente sì, se non fosse che qualcuno crede ancora al potenziale di Robasacco.

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Capitolo VI

Da due, uno solo

Il terreno sul quale sorgevo, la casa che ospitava l’osteria, rimasta senza eredi, e la stalla alle sue spalle sono stati acquistati da MCR Family Real Estate. Dietro la sigla ci sono Marta e Christian Rivola, che a Robasacco già possiedono Casa Lucas e Casa Ribeiro. Christian è l’architetto alla guida dell’atelier ribo+ di Cadenazzo e ha preparato un progetto di trasformazione dell’intero comparto. I due edifici saranno ricostruiti e diventeranno uno solo, formando una L che segue il profilo delle vie. Sarà rivisto il rapporto con la viabilità, il passaggio pedonale, il ruscello. Sarà una visione di futuro all’interno del vecchio nucleo. Nasceranno 6 unità abitative e potranno alloggiarvi 4 coppie e due famiglie in un contesto completamente rinnovato ma nel cuore del villaggio.

Epilogo

Un nome dedicato alla memoria

Occorre avere occhi allenati per riuscire a immaginare nuove funzionalità in edifici che l’avevano persa: le osterie e le stalle non sono più di moda. Occorre saper dialogare con chi rappresenta il bene comune per trovare soluzioni che migliorino la vivibilità del comparto.

Bisogna avere a cuore il destino di un villaggio al quale ci si sente legati da un filo invisibile, che si srotola nei secoli e ricorda l’impegno degli avi. L’edificio che sorgerà si chiamerà perciò Pietrosa, la fusione dei nomi Pietro e Rosa, che furono un tempo gli ambasciatori dei Rivola in Ticino e a Robasacco. Sono gli avi paterni che Christian non ha dimenticato.

Così come io non ho dimenticato le voci di quelle donne che si fondevano con il gorgoglio dell’acqua della fontana e raccontavano vizi e virtù di un piccolo mondo antico.